I cappuccini a Rutigliano
“L’anno 1612 a divozione e con elemosina del nostro popolo fu eretto sopra una delle più amene colline che da occidente circonda la nostra città, nel sito dove prima da secoli eravi una cappellina sotto il titolo di S. Michele Arcangelo, il nuovo Convento dei Cappuccini, che pur rimase sotto lo stesso titolo. Circa l’epoca poi della venuta del nominato Crocifisso in detto Convento, per quante ricerche si sieno da me fatte e in Rutigliano e nei vicini Conventi, che pur serbano antichissima tradizione di Lui, nulla di certo s’è potuto conoscere. A dire però qualche cosa dell’antichissima tradizione del nostro popolo, stimo conveniente trascrivere un’antica leggenda, che a quella si conforma, e che si legge in un quadro presso l’altare della medesima venerabilissima immagine.”
Questa è la testimonianza lasciataci da Lorenzo Cardassi nella seconda metà dell’800. Effettivamente i frati Cappuccini iniziarono la costruzione della Chiesa e del Convento a Rutigliano il 2 Settembre del 1612; lavori che terminarono circa un decennio dopo. La costruzione dello stabile è stata possibile grazie all’aiuto materiale del popolo rutiglianese: non mancarono infatti lasciti in beni mobili e immobili.
In un attestato del 1650 ci viene detto che i frati che dimoravano nel Convento di Rutigliano erano 10; in una relazione inviata dall’allora Vescovo di Conversano a Roma datata 5 Febbraio 1661, si diceva, invece, che risiedono a Rutigliano “duodecim fratres”, ossia dodici frati. Tale numero, oscillante tra i dieci e dodici frati, può essere considerato quasi costante per quasi tutto il seicento e il settecento.
Fin dai primi tempi i frati cappuccini, come accennato sopra, godettero della benevolenza del popolo rutiglianese, in special modo dell’amministrazione comunale, la quale assicurava al convento una quota annuale di olio, vino, sale e di medicine. Di ricambio i frati donavano ai loro benefattori una vita povera e austera, fatta di preghiera e buon esempio, offrendo spesso una parola di esortazione o un saggio consiglio alla gente spesso durante le predicazioni di Avvento e Quaresima o nel servizio delle confessioni. Nel corso dei primi due secoli di storia la vita conventuale scorreva con la consueta serenità e tranquillità.
Gravi conseguenze si ebbero nel secolo successivo, ossia nel corso dell’800. Per ben due volte il convento dovette lottare per la sua sopravvivenza a causa delle due soppressioni. La prima, voluta da Napoleone Bonaparte e attuata da Gioacchino Murat (1809-1811), che vide una chiusura parziale dei conventi, non coinvolse il convento di Rutigliano, ma provocò un aumento della presenza dei frati. Infatti se prima della soppressione a Rutigliano vivevano dodici frati, subito dopo il numero crebbe, fino ad arrivare anche a diciotto unità (1840). La seconda soppressione (1866) toccò anche la presenza dei frati di Rutigliano. In base alle leggi eversive l’edificio conventuale divenne proprietà demaniale e fu incamerato dal Comune. La maggior parte dei frati dovette lasciare il convento, dove rimase solamente qualcuno per garantire il culto liturgico. Per tutti gli anni della soppressione a far da cappellani furono solamente i frati cappuccini, che continuarono a risiedere in quello che era stato il loro convento (anche se molto ridimensionato), garantendo però una presenza, che contrariamente a tutti gli altri conventi della Provincia, non fu mai interrotta.
In una relazione datata 20 Maggio 1929 dell’allora Ministro Provinciale fra Zaccaria da Triggiano, così leggiamo: “Questo ospizio consiste in 4 sole cellette e un piccolo ripostiglio, in uno spezzono di dormitorio, chiuso e cieco dall’un dei lati. Poi non un metro di orto, non giardino, non terrazza. A pian terreno non una cucina, non un refettorio, non una piccola dispensa, non altro locale indispensabile. Una micidiale cucinetta e un pari micidiale refettorio è posto sulla soffitta senz’alcun annesso e connesso. Il coro è tra cucina e il suddetto grande dormitorio, e dal coro passano i religiosi per ivi recarsi, e dal coro bisogna passare volta per volta e giorno per giorno con l’acqua, legna, carbono ecc…”.
Nonostante queste condizioni misere, più volte messe in evidenza dai superiori provinciali e generali, si continuava a sperare in migliori condizioni di vita. Il ‘900 vede una presenza di cappuccini che oscilla dai due ai quattro frati.
Oggi le condizioni del convento sono rimaste pressoché quelle descritte nel corso del ‘900; le conseguenze della soppressione dei 1866, ben visibili nell’attuale situazione locale del convento, non hanno favorito all’interno delle mura conventuali una vita religiosa regolare, né hanno consentito una forte e numerosa presenza dei frati a Rutigliano. Le uniche motivazioni per le quali, nonostante ogni difficoltà, i frati sono finora rimasti a Rutigliano, fanno leva da un lato sulla presenza del Crocifisso Miracoloso, e dall’altro sulla radicata benevolenza e sull’affetto nutrito dal popolo di Rutigliano verso i cappuccini.
Da sinistra verso destra, i frati Giuseppe, Alfredo e Antonio